Indubbiamente è bravo. Sa calamitare l’attenzione, canta su un buon giro di rock misto pop / rap. È l’uomo androgino, come la musica che interpreta con maestrìa sul palco. Piace un po’ a tutti. Sexy, suo malgrado, per le donne, ma anche per i gay e per gli adolescenti etero che provano a scopiazzarlo per fare colpo al bar della scuola. Che vi devo dire: Achille Lauro piace anche a me. Per la sua originalità, sfrontata e supponente, per quella ricerca dell’arte in ogni comportamento, dall’aulico alla merda d’artista con la stessa naturalezza. Sa essere contemporaneo, futurista, con un'iconografia che richiama il passato. Gioca con tutto. Ci sono capacità naturali dietro a questo personaggio della new age italiana del terzo millennio, c’è preparazione, un pizzico di cultura. Ma soprattutto la voglia di stupire e restare.
Ma non esageriamo. Come ogni anno, seguo il Festival di Sanremo su due fronti: tv accesa, occhi e polpastrelli sullo smartphone pronti a twittare ogni minimo dettaglio. Emerge, a mio modo di vedere, un eccessivo entusiasmo (soprattutto sul web) intorno a questo ragazzo. Bravino sì, come detto sopra, una luce in controtendenza rispetto al teatrale Diodato o alle esibizioni da orticaria di Rita Pavone e Albano e Romina che sembravano i protagonisti di Ella & John di Virzì. Quello di Lauro è il racconto di questa generazione cresciuta nella sfiducia generale e schiacciata da noi inconcludenti 40enni, ancora alla ricerca d’autore, che ha voglia di emergere, globalizzarsi, colorare tutto, azzerando punti fermi, valori, identità di questa Italia che non sa essere né carne, né pesce, dove tutti urlano le proprie ragioni, si travestono da sardine o indossano felpe, ma alla forma quasi nessuno sa associare un contenuto.
È proprio qui che dobbiamo soffermarci, sul contenuto. Perché chi urla “genio” alla maschera di Achille Lauro, che sì, con la mantella di velluto ricamata da Gucci che cade al primo cambio di ritmo del pezzo “Me ne frego” restando con una tutina da far invidia al famoso pr della discoteca Chiticaca di Panariello che però almeno aveva il marsupio, ci vuol lanciare il messaggio universale di San Francesco d'Assisi che si spoglia come metafora del rifiuto della propria ricchezza materiale, ma non può bastare questo per innalzare fino agli Dei dell’arte e della musica, oppure a eroe di libertà questo interessante performer, poco più che normale per tutto il resto.
D’altronde, i ricorsi storici dei colpi di scena, sul palco del Festival di Sanremo, ma anche oltre, ci consegnano esempi di musicisti assoluti, mostri sacri della teatralità, del gusto, del messaggio profondo che, senza stare a fare associazioni inutili, si posizionano su ben altri pianeti. Anche perché, tutta questa meraviglia per una trovata originale, si spegne quando analizziamo la canzone “Me ne frego”: solo un gradevole ritornello. Il genio, ragazzi miei, risparmiatevelo per occasioni migliori.
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