Tutto è cominciato con Adam Sandler in Hustle, poi è diventato un mantra, una specie di verità assoluta scolpita su chissà quale tavola sacra: "L'ossessione batte il talento."
Quanti danni ha fatto questa frase?
Immaginatevi di fronte a un campo da calcio, a una tela bianca, a un foglio immacolato su cui scrivere. Il talento è quella scintilla invisibile che trasforma un gesto in un capolavoro, un'idea in emozione pura. È qualcosa che va oltre l'allenamento, oltre lo sforzo, oltre l'ossessione.
Il talento è quella luce che brilla nei momenti decisivi, che illumina il gioco, che trasforma un passaggio in un capolavoro di geometria e visione. È lì, nel pensiero, nel tocco, nella visione: tutte qualità che non possono essere ingabbiate né misurate, figuriamoci raggiunte con la sola ostinazione.
Non è forse vero che a calcio si gioca prima con la testa, poi con i piedi, e solo alla fine con i muscoli?
Il talento è il filo sottile che unisce queste componenti, che rende naturale ciò che per altri è fatica. Si vede in chi anticipa il movimento degli avversari, in chi legge la partita con un tocco, in chi sa inventare giocate che sembrano semplici ma sono frutto di un dono raro. Certo, l'ossessione può aiutare a migliorare il fisico, a rendere più forte e veloce il corpo, ma senza quella scintilla iniziale, senza quel lampo di genio, cosa resta?
Pensate alle arti: provate a scrivere dieci pagine dell'Ulisse di James Joyce senza talento, oppure una canzone come Wonderwall degli Oasis, o a disegnare qualcosa che faccia vibrare il cuore di chi guarda. Potete provare, ossessionarvi, esercitarvi fino a consumare carta e inchiostro, ma senza quella luce che si accende, spinta da una mano intangibile che è il talento, non arriverete mai a toccare le vette che altri raggiungono con naturalezza.
È una verità che può fare male, ma è una verità che va detta. Basta farvi prendere in giro!
Con l'ossessione, al massimo, potete diventare bravi ingegneri, precisi commercialisti, esperti matematici. In quei campi, dove la precisione e la ripetizione possono fare la differenza, l'ossessione può anche trionfare. Ma nel gioco delle emozioni, nel regno dell'immaginazione e della creatività, l'ossessione è solo una zavorra.
E lo stesso vale per sport come il calcio.
L'ossessione può scolpire il corpo, può allenare i muscoli, può affinare il tiro, ma non può insegnare a pensare. Se non hai talento, puoi allenarti fino allo sfinimento, ma ci sarà sempre un limite invalicabile che non potrai superare. Senza talento, è meglio restare a casa o al massimo provare con il salto in alto: lì, a forza di saltare, forse qualcosa si impara.
L'ossessione può perfezionare, ma non può creare. E' proprio questo il punto che dovremmo ricordare: il talento è un dono, l'ossessione è uno strumento. Confondere i due è l'errore più grande che possiamo fare, perché rischiamo di inseguire fantasmi, di lottare contro mulini a vento, di insegnare ai nostri giovani che basta allenarsi all'infinito per diventare il prossimo Maradona o il prossimo Picasso.
Ma senza talento, non si va da nessuna parte.
Quindi, no: l'ossessione non batte il talento. Mai. E per fortuna, aggiungerei.
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