di Andrea Spadoni
Una delle più grandi scemenze che, addirittura ogni giorno, mi tocca ascoltare e leggere intorno al calcio è l’espressione: “Quell’ allenatore non è da grande squadra”.
E’ vero, non è uguale allenare lo Spezia o il Manchester United, cambiano le pressioni e le difficoltà di gestione di calciatori emotivamente e strutturalmente più ambiziosi e spesso anche pretenziosi. Ma ci sono solo due tipi di allenatori: bravi o scarsi, il resto non esiste. Se uno è bravo, può guidare qualsiasi club, se uno è scarso può portare il cognome più importante al mondo ma non riuscirà a far migliorare la squadra.
Però, i soliti intenditori del calcio, quelli che consumano il loro verbo spesso di fronte a un caffè e cappuccino al bar, arrivano subito con l’arringa pronta: “cosa ha vinto quello che te definisci bravo? Chi dico io ha vinto tutto. Il giorno che avranno gli stessi trofei nel curriculum vitae potremmo paragonarli”.
Una frase che chiude ogni possibilità di dibattito costruttivo.
Purtroppo, anche nel calcio (come in tante cose della vita), pur essendo non la priorità per una civiltà, servirebbe un po’ di conoscenza alla base per infilarsi in analisi più accurate e corrette. E soprattutto la cultura del merito.
Perché. se il tifoso è giusto si arrabbi e pretenda sempre il massimo dalla propria squadra e quindi la vittoria (io chiedo rispetto di identità e valori, non successi), chi invece lo racconta avrebbe il dovere di non far ruotare ogni discussione intorno alla conquista di trofei. E' un concetto senza un briciolo di cultura del gioco.
Il calcio - vi ricordo - è uno sport collettivo in cui a vincere e perdere sono le squadre, i progetti, non gli individui. Sembra strano doverlo ripetere tutte le volte in questa epoca balorda dove pare contino solo i numeri al pari di tennis e atletica leggera. E' davvero svilente continuare a combattere l’ignoranza quando è cosi diffusa anche tra gli addetti ai lavori. Passa la voglia.
Per tornare al tema allenatori e chiudere questa mia amara riflessione, vi porto l’esempio di ARNE SLOT. Allenatore preparatissimo che, nonostante una carriera da calciatore tutt’altro che brillante, inizia a lavorare nel calcio dietro le quinte, quando tocca a lui mostra subito una filosofia altamente innovativa alla guida dell’AZ Alkmaar dove\ non vince niente (diranno quelli che sanno tutto con il caffè in mano), ma raggiunge risultati eccellenti che lo mettono in mostra come tecnico emergente in Olanda. Viene esonerato nel 2021 e successivamente passa al Feyenoord, club in cui si consacra vincendo un incredibile campionato e una coppa di Olanda, oltre alla finale di Conference League persa con la Roma.
Quest’anno lo chiama il Liverpool per sostituire addirittura Jurgen Kloop. Nessuno credeva che questo signore potesse eguagliare risultati e propensione al successo di un tecnico dello status del collega tedesco. Invece sta facendo addirittura meglio. Quindi, quanto conta essere allenatori “che hanno vinto?”. Nulla.
Di esempi ce ne sarebbero a centinaia, vi cito Marco Baroni, un vero maestro di calcio, che i laziali prima dell’inizio del campionato, criticando la società per la scelta del post Sarri, chiamavano “Er Sarvezza” o Sacchi che, negli anni ’90, ha cambiato l’approccio al gioco in Italia con il miglior Milan di sempre e l’anno prima era semplicemente un mezzo esordiente a Parma dopo tante stagioni nei settori giovanili.
Chi è bravo ragazzi, è bravo. Non conta chi sei.
Restate pure agganciati alla filosofia dei trofei e delle bacheche, sarete sempre i nemici del calcio.
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