Molto spesso, ultimamente, e in particolare sui social network, attraverso figure più o meno poco autorevoli che si autoaffermano come paladine dell’ epowerment femminile, senza che nessuno gliel’abbia chiesto, ma forti di un foltissimo gruppo di “fagiane” (eh sì c’è anche chi le chiama così) alle quali vendere qualsiasi scemenza, si parla delle condizioni delle donne in Italia.
La narrazione è davvero terribile e, se non fossimo persone con un minimo di capacità di elaborare un pensiero, convincerebbero anche noi che non viviamo in Italia, ma in una sperduta nazione dell’estremo oriente, rimasta incastrata tra le nicchie dei peggiori fondamentalismi. Se le ascoltiamo bene, sembra che, in questa epoca in cui, diciamocelo chiaramente, in Italia tutte le libertà fondamentali delle persone sono garantite, essere donna sia un totale strazio e che tutte le colpe di questa terra siano dovute alla cultura del patriarcato.
Siamo sicuri sia vero?
Preciso con schiettezza che alcune cose da sistemare ci sono e che gli episodi di violenza dobbiamo condannarli fermamente e combatterli.
Però, se analizziamo bene il contesto in cui viviamo, tutto vero quello che ci raccontano le attiviste del femminismo dell’Instagram, non è. Anzi, sembra un storiella scritta dalla Murgia in uno dei suoi testi deliranti, e ripetuta a pappagallo da uno stuolo di inutili adepte.
Riporto una storia che arriva da Trieste: uomo di 46 anni. Il suo stipendio è di 1400 euro, dopo la separazione deve passare 1000 euro al mese all'ex moglie e alla figlia di due anni. Con quello che gli resta deve mantenere altre due figlie dalla moglie precedente, deceduta per malattia.
All'ex coniuge, una donna sudamericana di 31 anni inoccupata, spettano 600 euro al mese, 400 alla figlia di due anni. All’uomo restano solo 400 euro al mese per mantenere se stesso e le due figlie, oltre a metà delle spese 'straordinarie' per la figlia piccola (scuola, medico, varie ed eventuali): una situazione insostenibile che lo ha portato, in pochi mesi, a tornare ad abitare insieme all'anziana madre.
Quest'ultima, per aiutarlo a sopravvivere, ha dovuto vendere un’abitazione di famiglia, con il quale l'uomo ha estinto ciò che restava del mutuo. Intanto a suo carico pende ancora una causa penale perché non è riuscito a pagare regolarmente gli alimenti, esborso mensile per lui ormai insostenibile, definito lo scorso luglio da un'ordinanza del giudice al termine del processo civile di separazione. Decisione confermata anche dal ricorso alla corte d’appello.
Perché questa storia? Perché non è un caso isolato.
Secondo un’indagine del Centro Studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica, un terzo un terzo dei padri separati, una volta pagato l’assegno di mantenimento a ex mogli e figli, può contare su un reddito residuo che va dai 300 ai 700 euro netti mensili. Il 17 per cento, invece, deve accontentarsi di una cifra che oscilla dai 100 ai 300 euro. E c’è un 15 per cento cui restano in tasca meno di 100 euro al mese. È vita?
Il presidente degli avvocati matrimonialisti italiani, Gian Ettore Gassani, in un'intervista aveva dichiarato: “La separazione è roba per coppie ricche, quelle con i mariti che arrivano a trasferire società per risultare nullatenenti e mogli che pensano già al divorzio in viaggio di nozze, raccogliendo fatture di hotel e tutto quel che può comprovare un certo tenore di vita. Ma difficilmente uno dei due andrà sul lastrico”.
In Italia, attualmente, si contano oltre 4 milioni di padri separati, di cui circa 800 mila a fare i conti con problematiche economiche conseguenti alla separazione e alla difficoltà di vedere i figli. 500 mila sono tornati a vivere dai genitori, fenomeno noto come “boomerang kid”. Oltre all’aspetto economico c’è anche quello emotivo perché, questi uomini, sarebbero ben felici di occuparsi dei loro figli e invece non è raro che li vedano col contagocce.
Poi ci sono i suicidi. Nella società moderna che vuole individuare il male nel “patriarcato” c’è una sofferenza sommersa che riguarda i papà, sempre più alle prese con la sindrome da alienazione parentale (Pas), vera patologia che nell’80% dei casi coinvolge come vittime i babbi e nel 20% le mamme, conduce alla depressione e talvolta alla scelta di togliersi la vita.
Scusa ma te pensi davvero a quello che hai scritto? No perché non credo che con una storiella strappa lacrime (senza fonte peraltro), tu possa pensare di fare vittimismo verso il povero uomo schiacciato dalla donna. Te parti già con la certezza di sapere che il divorzio è un "capriccio" della donna. Inoltre i tuoi dati sono a senso unico, non mostrano il rovescio della medaglia e ho il sospetto che sia stata la tua esperienza personale a farti scrivere un articolo così dozzinale.